AI, Ù E. TEATRO GUGLIELMO SHAKESPEARE Nuova TRADUZIONE DI DIEGO ANGELI di egli MACBETH MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI Riservata la proprietà letteraria della presente traduzione. Tip. Fratelli Treves. Nora BIBLIOGRAFICA E STORICA. L'epoca in cui fu scritta questa tragedia sembra debba fissarsi al 4606 e in questa data sono con- cordîì il Chalmers, il Drake e il Malone. Il Far- mer, notando che essa fu una delle ultime crea- zioni shakespeariane, osserva come l’idea di scrivere una tragedia sul Re scozzese deve essergli stata suggerita da una breve rappresentazione data sullo stesso soggetto a Oxford, d'innanzi al Re Giacomo, l'anno 166% Il Wakes nel suo Rex platonicus dan- doci notizia di quella rappresentazione scrive: « Fa- bulae ansam deditantiqua de rege prosapia histe- riola apud scofos-hbritannos celebrata que nar- rat tres olim sibyllas occurrisse duobus Scotiz proceribus Machbetho et Banchoni et illum pra- dixisse regem fufturum sed regem nullum geni- furum; hunc regem non futurum sed reges geni- furum multas, Vaficinii veritatem rerum eventus comprovavit. Banchonis enim e stirpe potentis- simus lacobus oriundus.» Le fonti storiche da cui Guglielmo Shakespeare trasse la sua agedia sono la Scottish History di Ettore Boezio, la C/hrormicle di Holinshed e forse il Wintownis Chronykil, nei cui versi arcaici il let- VI NOTA BIBLIOGRAFICA E STORICA tore potrà ritrovare (libro VI, cap? XVIII) molti particolari della tragedia shakespeariana. La quale fu raccolta nella edizione in folio del 1623, sette anni cioè dopo la morte del Poeta, edizione in cui per la prima volta gli attori Cominge e Hendell vollero aggiungere le didascalie mancanti nel ma- noscritto primitivo. Questo valga a spiegare la differenza d’indicazioni che passa fra una edizione e l’altra. Le mie seguono il testo curato dal Re- verendo Alessandro Dyce. Malcolm Hi Re di Scozia ebbe due figlie, la mag- giore delle quali andò sposa a Crynin, padre di Duncan, thane delle isole e delle coste occidentali di Scozia. Alla morte di Malcolm, non avendo que- sti lasciato discendenza maschile, fu Duncan che gli succedette sul trono. La seconda figlia di Mal. colm II sposò invece Sinel, thane di Glamis e padre di Macbeth. Duncan, che aveva sposato la figlia di Siward conte di Northumberland, fu ucciso dal suo cugino Macbeth nel castello di Inverness nell’anno 1040, secondo quel che dice Buchanan, e nel 1045 secondo Boezio. Il quale Boezio nella sua Storia di Scozia, stampata a Parigi l'anno 1526, così descrive l'avvenimento che è base della tra- gedia di Guglielmo Shakespeare: « Macbeth per persuasione di sua moglie radunò gli amici a con- siglio nel castello di Inverness dove il Re Duncan si trovava ad esservi per caso. E siccome vi tro- vava l'opportunità, col consenso di Banco e degli altri suoi amici assassinò il Re e s'impadronì del regno.» Nelle Chrozicles of Scotland tradotte da John Bellenden nel 1541 è detto che Macbeth fu NOTA BIBLIOGRAFICA E STORICA VII in seguito assassinato anche lui da Macduff nel- l'anno 1057, essendo Re d'Inghilterra Edoardo il Confessore. Ma un fatto curioso che i comentatori inglesi non hanno mai notato e che interessa spe- cialmente noi italiani è che Macbeth venne a Roma nei tristi momenti di Leone IX, e che vi lasciò grandi elemosine per i poveri che allora pullula- vano nella città, trovando un unico guadagno nelle larghezze dei pellegrini facoltosi. Questo pellegri- naggio espiatorio è così notato nelle cronache di Mariano Scoto (ad ann. 1050) Rex scotus Mac- beth ad Roma argentum pauperibus seminando distribuif. In quanto a Lady Macbeth, il suo nome fu Gruach figlia di Bocle (vedi gli Arrzza/s of Scotland di Lord Hailes. II. 332). Vi è poi un particolare. rimasto ignoto o per lo meno trascurato da Shakespeare ed è che ella fu vedova di Duncan. La qual cosa fa- rebbe supporre che il nostro poeta non avesse avuto sott'occhio il Chrony&i! di Andrea Wyntown, come suppongono taluni comentatori, e si fosse soltanto servito della storia di Ettore Boezio, come del re- sto può vedersi nei molti particolari che la fanno diversa dal Chronykil. Un altro punto, intorno a cui si sono molto oc- cupati gli scrittori inglesi, è quello che si riferisce alle streghe. È noto come nei primi tempi della Riforma i tribunali inglesi fossero occupati a giu- dicare atti. di stregoneria. Durante il regno della Regina Elisabetta, è memorabile il processo delle streghe di Warbois, di cui si continuò a parlare fino al secolo scorso nella predica annuale di Hut- vin NOTA BIBLIOGRAFICA E STORICA tington. Ma nel regno di Giacomo I, in cui fu scritto il Macbeth, molte circostanze concorsero a confermare certe opinioni e certe credenze, Il Re, che era stimato molto per la sua scienza, prima del suo arrivo in Inghilterra non solamente aveva esaminato personalmente una donna accusata di stregoneria, ma aveva lasciato un racconto parti- colareggiato delle pratiche e delle illusioni degli spiriti diabolici, delle congreghe delle streghe; delle loro cerimonie, dei metodi di trattarle, del come si debbono arrestare e giudicare, nei suoi dialoghi di Demonologia scritti in dialetto scozzese e pub- blicati in Edimburgo. Questo libro fu ristampato a Londra subito dopo la sua successione al trono d'Inghilterra e, per una spiegabile cortigianeria, il suo sistema di Demonologia fu subito adottato da tutti. coloro che avvicinavano il Re. Così te dot- trine demonologiche furono rese largamente po- polari, e la moda e la credulità lavorarono in loro. favore. E tanta fu la loro divulgazione che, du- rante il primo anno del regno di Giacomo, il parlamento si occupò della faccenda e promulgò una legge in 6 articoli, con la quale si puniva con la condanna capitale: 1.° chiunque s'intrattenesse con li spiriti diabolici; 2.° chiunque interrogasse detti spiriti; 3.° chiunque dissotterrasse cadaveri di uomini, di donne o di bambini, o togliesse ai cadaveri ossa, pelle e capelli per impiegarli in ce- rimonie di magia e di stregoneria; 4.° chiunque usasse pratiche o esercizi di stregoneria, sorcery, charm or enchantment. Così ai tempi di Shakespeare le dottrine demo- n e n” NOTA RIBLIOGRAFICA E STORICA mx nologiche erano riconosciute non solamente dalla moda, ma dalla legge, tanto che in poco tempo il non credervi costituiva una mancanza grave pas- sibile di multe e di pene corporali. Si capirà dun- que facilmente come i comentatori del XVII e del XVIII secolo insistessero su questo punto che sol- levava sempre grandi discussioni ed era abilmente sfruttato dai gesuiti e dagli avversarii della Ri- forma. DRAMATIS PERSONAL. DUNCANO, re di Scozia, MALCOLM DONALBANO MACBETH BANCO MACDUFF LENNOX ROSS MENTETH ANGUS CAITHNESS FLEANCE, figlio di Banco. SIWARD; conte di Northumberland, generale delle {oyze inglesi. Il giovine SIWARD, suo figlio. SEYTON, ufficiale agli ordini di Macbeth. Un FANCIULLO, figlio di Macduff. Un DOTTORE inglese. Un DOTTORE scozzese, Un SERGENTE, Un PORTIERE, suoi figli. generali dell’armata del Re. nobili scozzesi. SA ST sr r Una VECCHIO. LADY MACBETH. LADY MACDUFF. Gentildonne al seguito di Lady Macbeth. Signori, ufficiali, soldati, scherani, uomini del seguito e messaggeri. ECATE. TRE STREGHE. Apparizioni, La scena ha luogo nella Scostia: alla fine del quarto atto in Taghilterra. ANI LAB BIT I ATTO PRIMO. SCENA PRIMA. Un luogo aperto. Tuoni e lampi. Entrano -le tre STREGHE, PrIMA STREGA. ‘Quando incontrarci potrem nuovamente tra lampi e fulmini, pioggia irrompente? SecoNDA STREGA. Quando la zuffa sia al fin combattuta e la battaglia sia vinta e perduta o che la luce del sol sia caduta. TERZA STREGA. Ed in qual luogo "avverrà? PrIMA STREGA. Nella landa. 2 MACBETH SeconDA STREGA. Là dove a Macbeth la sorte ci manda. Prima STREGA. Eccomi, Grimalkino! Seconpa STREGA. Paddock mi chiama: gli vado vicino! Le TRE STREGHE insieme. Il bello è orrido, l'orrido è bello; fuggiam tra nebbie e miasmi d’avello! Le tre SrreGHE svaniscono. SCENA II Un campo presso Forres. Suoni di trombe. Entrano DuncANO, DonALBANO, LENNOX, MALCOLM con uomini del seguito che traspor- tano un SERGENTE ferito. Duncano. Chi è quest'uomo insanguinato ? A quanto sembra può dirci l’ultime novelle | della rivolta, srerrivtcvti cir ci iii eb li ail Atto primo, Scena seconda 3 "or rie MarcoLm. È quel sergente stesso che per salvarmi dalla prigionia da buon soldato e ardito combattè! Salute o bravo amico! Al Re tu narra come seguì la zuffa ed a qual punto l'hai lasciata. IL SERGENTE. Per lungo tempo incerta: come due nuotatori insieme avvinti e di egual forza che lottando cercano di superarsi. Macdonald spietato — degno d’esser ribelle per i molti vizi che a lui dette natura — aveva da settentrionali isole avuto rinforzo di milizie e la fortuna alla sua mala impresa sorridente gli si prostituiva. Ma fu vano ogni suo sforzo; perchè il valoroso Macbeth — che il nome degnamente porta — la sorte disdegnando e con in pugno l’acciar fumante per sanguigna strage, qual figlio del valore si aprì la via fino a quel vile e senza dargli la mano o salutarlo, venne a guerreggiar con lui fin che dall'alto del capo alla mascella egli non l’ebbe squarciato e infissa sopra i nostri spalti la sua testa. Lire ren ibi lle ai o ririrtrrzz 4 MACBETH irta IMMONIINe seeo — sl lu iui DUNCANO. O cugino valoroso e degno gentiluomo! IL SERGENTE. | Ed in quel modo che dove il sol sparge i suoi raggi tutte le bufere si addensano e il funesto fulmine irrompe, tale lo sconforto nacque là dove speravam salvezza. Ascolta, o Re di Scozia, ascolta. Appena aveva la giustizia con l’armato valor costretto quei ribaldi in fuga che il sire di Norvegia sorvegliando l’azione, con fresche armi e con nuovi rinforzi dette un altro assalto Duncano. E questo non sgomentò i capitani nostri, Macbeth e Banco? IL SERGENTE. Sì: non altrimenti i passerotti le aquile ed il lepre il leone. E per dire il vero io debbo affermar ch’eran simili a ‘cannoni con una doppia carica adescati. Essi così intende - É ppi lizzola; pia giri begli on iii foi deli ali tipa Atto primo, Scena seconda 5 rr rr _..——————— han raddoppiato sul nemico i colpi. Se per tuffarsi in fumiganti piaghe o celebrare un Golgota novello non saprei dire. Ma vengo meno. Le ferite mie chiedon soccorso. Duncano. In egual modo bene ti si addicono al par delle parole le tue ferite: onor spirano entrambe. Si conduca ai chirurghi. “Il SERGENTE viene portato via, Ora chi viene ? MaLcoLm, Il buon thane di Ross. LENNOX. i Quale ansioso sguardo ha negli occhi! È come se volesse dir strane cose. Entra Ross. Ross. Che Dio salvi il Re! DuncaNO. E da dove ne vieni, o degno thane ? 6 MACBETH Ross. Da Fife, o grande Re: dove i vessilli norvegesi garriscono nel cielo ed ai nostri dan freddo. I Norvegesi stessi in tremendo numero dal più sleale traditor condotti qual è il thane di Cawdor, il conflitto dolente han cominciato. Fino a quando di Bellona lo sposo, nella prova sospinto, sè con lui paragonando, i ribelli respinse a ferro a ferro a braccio a braccio, fin che la vittoria per noi rimase. Duncano. Oh fortunato evento! Ross. Ed ora Sveno il Re di Norvegia ci dimanda un accordo. Nè pur gli consentimmo di seppellire i suoi morti a San Colme se per nostro uso, prima, centomila talleri non sborsava. Duncano, Or non più questo thane di Cawdor, gl’interessi nostri vorrà tradir. Sia condannato a morte e i suoi titoli al gran Macbeth donate. Arai Atto primo, Scena terza 7 Ross. Veglierò a che sia fatto. Duncano. Quel ch’ei perdette ha il nobil Macbeth vinto. Exeunt. SCENA II, Una landa. Entrano tre STREGHE. Il tuono rumoreggia. LA PRIMA STREGA, Dove sei stata, sorella? LA SECONDA STREGA. A uccidere un verro, LA TERZA STREGA. E tu sorella, dove? LA PRIMA STREGA. D’un marinar la moglie, pieno il grembo portava di castagne e biasciava, biasciava e biascicava. Dammene un po, le dico. Vattene strega! grida quello straccio affamato. Ma il suo sposo ad Aleppo, mastro del 7igre è andato. Io dentro un guscio navigherò Come un sorcio scodato. Lo farò! lo farò! lo farò! . Li Mpa 8 MACBETH SAIADIANIANA IRA E ni La sEcoNDA STREGA. Ed io ti darò un vento. LA PRIMA STREGA. Sei davvero un portento. LA TERZA STREGA. Un altro vo’ darti io. LA PRIMA STREGA. è E gli altri ho in poter mio! Ogni porto scorreranno perchè tutti i punti sanno qual la carta di un pilota. Bianco e smurnto diverrà: notte o dì non scenderà sui suoi occhi il sonno grato: vivrà al par d'uomo dannato nove volte sette notti gemerà pianti e singhiotti. E se il legno non si affonda sia respinto d’ogni sponda tra il furor della tempesta. Guarda un po’, cosa mi resta. Î LA SECONDA STREGA. Facci vedere! facci vedere! ‘0 Atto primo, Scena terza LA PRIMA STREGA. i i È il tronco pollice di un timonierè che entrando in porto, se ne perì. Si ode suonare un tamburo. LA TERZA STREGA. Si ode il tamburo. LA PRIMA STREGA. Macbeth è qui. LE TRE STREGHE A insieme. Le tre sorelle, la mano in mano, scorron sul mare, scorron sul piano, andando ‘intorno di qua e di là, Tre a te, tre a me, sien nostre prove e tre di nuovo per fare nove. Zitte! L'incanto compiuto è già! Entra MacseTH seguito da Banco e scortato in distanza da soldati. MACBETH. Un così bello e così chiaro giorno non vidi mai. Banco. Lontano è ancora il luogo Forres chiamato? E chi mai sono questi in così fiero e desolato aspetto? Io MACBETH Abitanti non sembran della landa. Vivi? O pur siete qui, chè interrogarvi possa l’uomo? Mi par che m°intendiate poi che uno, fra voi, sulle pendenti labbra l’irsuto dito ha posto. Donne esser dovreste, e pur le vostre barbe credervi tali vietano. MACBETH. Parlate se pur potete. Quale è il nome vostro? LA PRIMA STREGA. Salute a Macbeth thane di Glamis! LA SECONDA STREGA. Salute a Macbeth thane di Cawdor! LA TERZA STREGA. Salute a Macbeth, che sarà Re! Banco, Perchè mai vi fermate o buon signore e sembrate temer quel che sì dolce risuona? In nome della verità, siete immagini vane o pure corpi qual sembrate? Il mio nobile compagno voi salutaste con sì grazioso dono e con sì mirabil profezia Atto primo, Scena terza II di ricchi beni e di regal speranza che è quasi fuori dei suoi sensi. Invece non parlaste di me. Se il seme occulto scrutar del tempo voi potete, quale — dite — sarà per crescere e qual altro non lo sarà? Parlate dunque, i vostri favori io non ho chiesto e del vostro odio non ho avuto timore, LA PRIMA STREGA. Salute! LA SECONDA STREGA, Salute! i LA TERZA STREGA. Salute! LA PRIMA STREGA, Di Macbeth il minore è pur più grande! LA SECONDA STREGA. Non sì felice ed assai più felice. LA TERZA STREGA. Pur generando Re, Re non sarai. Salute a Banco e a Macbeth. LA PRIMA STREGA. Banco e Macbeth, salute! 12 MACBETH MACcBETH. Ferme, o divinatrici oscure, e dite qualche cosa di più. So che per morte di Sinel io son già thane di Glamis. Ma in qual modo di Cawdor? Gentiluomo prosperoso è quel thane e ancora in vita. In quanto a Re, non sta dentro i confini della credenza umana, più di quello che Cawdor non lo sia. Dite, a qual fonte tal bizzarro saper traeste? E come sulla ventosa landa con sì fatti profetici saluti vi fermaste ? Parlate: io ve lo impongo. Le SrRrEGHE svaniscono. Banco. Ha suoi vapori la terra al par dell’acque: e tali sono queste. Ma dove son svanite? MACBETH. In aria. Quelle che corpi abbiam creduto, al pari di un alito di vento or son disperse. Banco. E tali furon veramente? O pure abbiam gustato la radice insana che lo spirito tiene in prigionia ? Atto primo, Scena tersa 13 MACBETH. Saranno i vostri figli Re! Banco. Sarete voi stesso Re. MACBETH. Di Cawdor anche il thane: non così suona il loro augurio? Banco, Tale è nel tono e nel detto. Chi vien qui? Entrano Ross e AnGus. Ross. ‘Ha ricevuto il Re felicemente, Macbeth, le nuove della tua vittoria e a legger le tue imprese nella lotta contro i ribelli, fu la meraviglia sua pari all’entusiasmo. Ei restò muto pe ’1 tuo valor, vedendo nello stesso giorno te contro le norvegie schiere impassibile in mezzo a quelle strane immagini di morte che tu stesso avevi fatto. Al par della parola ratti i messi venian l'un dopo l’altro e arrecava ciascun gli elogi tuoi per gettarglieli ai piedi. Pi pit Ialia I4 MACRBETH Sri pl iI e i aole a li I ANGUS. Ed ora siamo stati mandati ad arrecarti in nome del nostro sir le grazie: solamente per condurti e non già per compensarti. Ross. E qual caparra di più grande onore di chiamarti mi disse in nome suo thane di Cawdor. Sia salute dunque a te, signor, nel titolo novello però che è tuo. Banco da sè. Che? Il diavolo può dunque parlare il vero? MACBETH. È vivo ancora il thane di Cawdor: perchè mai mi rivestite con imprestate vesti? AnGus. Quei che fu thane di Cawdor, vive ancora: e pure sotto grave giudizio egli trascina quella sua vita, di che indegno è ormai. Io non so s’egli fu coi Norvegesi Atto primo, Scena tersa 15 apertamente unito o se i ribelli con celati soccorsi e con sussidî egli appoggiò, nè se con ambo i doli al naufragio della patria sua egli abbia cospirato. Ma il delitto di tradimento, confessato e certo lo trascinò nella rovina. MACBETH. da sè. Glamis sono, e thane di Cawdor. Il più grande è quel che resta! A Ross e Ancus, Grazie per la vostra pena. — Piano a Banco. Che i figli vostri sieno un giorno re non sperate, poi che han lor promesso un regno, quelle che di Cawdor mi hanno dato il titolo? Banco piano a Mac8ETH. Ben potrebbe questa assoluta certezza il vostro ardore verso il regno sospingere, oltre il thane di Cawdor. Strano: spesso a render certo il nostro danno gli stromenti delle tenebre il vero dicono e con lievi 6 MACBETH cose ci attraggon per gettarci poi nei più oscuri raggiri! A Ross e Ancus. Cugini, ve ne prego, una parola. MACBETH a parte, Due verità sono qui state dette, prologo lieto all'atto più solenne del dramma imperiale. A Ross e Ancus. Io vi ringrazio, nobili gentiluomini. A parte. Ma questa sovrumana dimanda esser non può cattiva, non può esser buona. Quando fosse cattiva, a che mi avrebbe dato di buon successo l’ incoraggiamento con una cosa vera incominciando ? Io son thane di Cawdor. E se fosse buona, perchè debbo tremare a questo suggerimento, la cui bieca vista fa raddrizzare i miei capelli e il calmo mio cuor contro le leggi di natura battermi nel costato? Le paure del presente, son meno di tremende visioni. Il pensier mio che finora pensa soltanto all’ assassinio, scuote dl ira Atto primo, Scena terza I7 in tal modo il mio essere che tutte le funzioni ne sconvolge. E nulla e fuor di quello che non è. Banco. Guardate come distratto è il mio compagno. MACBETH da sè, Quando mi voglia Re la sorte, coronarmi essa pure dovrà senza il mio sprone. Banco, Vanno gli onori nuovi a lui siccome vesti non sue, che solo aderiranno per il lungo uso e non per il modello. MACBETH da se, Quel che debba avvenire avvenga. Intorno il tempo e l’ora van per l’aspro giorno. Banco. Noi vi aspettiamo, Macbeth. MACBETH. Mi scusate. Era il cervello mio torpido, oppresso da obliate faccende. O miei gentili Su. Macbeth, 2 18 MACBETH —— —————_________—______— ee signori, son le vostre pene scritte là dove giornalmente io volgo il foglio a rileggerle. Andiam dal Re. A _ Banco. Pensate a quel che avvenne e con più tempo avendo tutto ciò ponderato, parleremo l’un l’altro a cuore aperto. Banco. Con gran gioia. MACBETH. Or basta amici, andiamo. i Exeunt. SCENA IV. ‘Forres. Una stanza nella reggia. Musica. Entrano Duncano, MALcOLM, DONALBANO, LENNOX e sala. Dulcis. Fu la sentenza in Cawdor eseguita? E quelli a cui fu comandata, ancora non son tornati? _ IIIIÌ..rle.o- Atto primo, Scena quarta 19 AIA CR ADI ELIOT Liri MALCOLM. Ancora, o mio signore, non son tornati indietro. Ma con uno che lo vide morir, parlai. Mi disse che il tradimento ei confessò con grande franchezza e chiese alla maestà vostra perdono ed un profondo pentimento ei dimostrò. Nulla ne la sua vita del dipartirsi suo parve più degno. Egli morì come colui che avesse in punto di morir studiato come le cose sue più care abbandonare quasi fosser da nulla. *DUNCcANO, Non v'è arte che insegni a ritrovar sull’altrui faccia il segreto dell'anima. Egli è stato un gentiluomo su cui posto avea un’ assoluta confidenza. Entrano MacserH, Banco, Ross e ANGUS. O degno cugino mio! Grave è la colpa ancora della mia sconoscenza. Ma tu sei sì lunge innanzi a noi, che le pur lievi ali del premio a giungerti son lente. Oh men servito tu mi avessi, in modo che vi fosse equilibrio fra il mio premio 20 MACBETH e le mie grazie. Io sol ti dico, intanto, che più ch'io possa dar, facesti tanto! MACBETH. Quello ch’io feci ripagò abbastanza con la mia fedeltà, la brama mia di servirvi. È mestiere dell’Altezza Vostra accettare il dover nostro, e il nostro dovere è per il trono e per lo Stato e per i servi e per i figli vostri. Solo è degno colui che per amore vostro e per vostro onor tenta ogni cosa. Duncano. Benvenuto qua giù; gettato ho il seme: ora permetti ch’io lavori a farti crescere e prosperar. Nobile Banco tu non fosti da meno e non minore la fama tua dovrebbe esser per quello’ che hai compiuto. Consenti ch’io ti abbracci e ti stringa sul cuore.’ Banco. S’io vi cresco sarà vostro il raccolto. Duncano. La mia piena gioia lia bisogno di celar se stessa dentro lacrime tristi. O figli, o thani Aito primo, Scena quarta 21 congiunti, e voi che più vicini siete, sappiate che vogliam lasciare al nostro figlio maggior lo Stato. Ei d’ora innanzi sarà signor di Cumberland: nè questo onor deve consistere nel solo titolo che lo investe. I segni tutti di nobiltà risplenderanno al pari d’astri su i suoi seguaci. Andiamo dunque or tutti quanti ad Inverness, e ognuno faccia che a lui più ci attacchiamo. MacBETH. È l’ozio fatica a me se non a voi rivolto. Sarò io stesso il messaggero vostro e allieterò di mia moglie l’udito annunciandole il vostro arrivo. Ed ora umilmente vi chieggo di lasciarvi. Duncano. Cawdor mio degno! MACBETH a parte. Il principe di Cumberland è gradino ch'io debbo sorpassare s'io non voglia cadervi, chè si trova sulla mia strada. O stelle ora spegnete i vostri fuochi e il cupo, atro ascondete mio desir: che alla man l’occhio fa atto di temer quello che deve esser fatto. Exit. LOCA MIE NI o prculiirzziani 22 MACBETH i I LIM :t|! ! Duncano. Si, degno Banco, egli è sì valoroso| che tu mi dici. E degli elogi suoi io mi nutrisco ed è per me un convito. Seguiamolo: il suo zelo è andato innanzi a procurarci il benvenuto. Ed egli è un parente impagabile. Musica, Escono tutti. SCENA V. Inverness. Una stanza nel Castello di Macbeth. Entra Lapyv MACBETH leggendo una lettera. Lapy MacBETH. « _.... Esse m'incontrarono il giorno del trionfo “ e ho visto, dalla più precisa rivelazione, che « hanno in loro una conoscenza sovrumana. «“ Mentre ardevo dal desiderio d’interrogarle più “ lungamente, si sono fatte d’aria e nell'aria “ sono svanite. E come rimanevo rapito dalla « meraviglia di tutto ciò, sono giunti due mes- “ saggi del Re che mi hanno proclamato thane « di Cawdor: titolo col quale poco prima mi « avevano salutato le sorelle profetiche, accen- “ nando a prossimi eventi con queste altre pa- « role: “7u sarai Re ,. Ho creduto bene di enti costine, —_T_———————r—__—_____——r—r—————————————————€€——Tttm Atto Primo, Scena quinta 23 _r———————m__——mm——_—_ “ confidarti queste cose, o compagna diletta « della mia grandezza, affinchè tu non perda “ Ja tua parte di gioia, ignorando la grandezza “ che ti è promessa. Conserva tutto questo nel “ tuo cuore e addio... , Tu sei Glamis e Cawdor, tu sarai quel che ti fu predetto. E pure io temo la tua natural Troppo ella da un latte di umana gentilezza fu nutrita perchè tu prenda la più acconcia via. Esser grande vorresti e non sei senza ambizione e giungeresti al fine quando non fossi così inerte. Quello che ardentemente brami, anche lo brami onestamente e non volendo il falso giuocare, intendi vincer con l'inganno. È dentro te chi grida, o grande Glamis, «“ Fa così per raggiungermi ,. Ed hai forse più paura di farlo che volere di non farlo. Ora vieni qui, vicino a me, sì che dentro il tuo orecchio possa l’anima mia trasmettere e spronare col poter della mia lingua quel tanto che ti allontana ancor dal cerchio d’oro col quale il Fato ed un supremo aiuto sembra ti debban coronare. Entra un SERVO. Cosa dovete dirmi? ———-=-"-=-<"“< I 24 MACBETH _——m_————————————rm---— IL Servo. Il Re verrà stanotte. Lapy MACBETH. Folle tu sei! Non è forse con lui il tuo padrone? E s’ei venisse, certo avvertita m’avrebbe affinchè pronta fosse ogni cosa. IL Servo, E pur credete, è vero: sta per venire il vostro thane. Un messo dei miei compagni fu da lui mandato che, quasi senza fiato, appena seppe ripetere il messaggio. Lapy MACBETH. Grandi nuove egli ci apporta: che riposi. Exit il Servo. Il corvo stesso, divenne fioco a crocidare la venuta fatal di Re Duncano fra le mie mura! O spirti che i mortali pensieri vigilate, or qui venite a trarmi dal mio sesso, e dalla fronte al tallon tutta della più profonda crudeltà riempitemi! Più ardente divenga il sangue mio, sia chiuso il passo init Atto primo, Scena quinta 25 n n ——____—_——___- e la strada al rimorso, sì che alcuna natural pietà scuota il mio fermo proposito e non dia pace fin tanto ch'io non l'abbia compiuto. Al femminile mio sen venite o voi cupi ministri dell'assassinio e il mio latte cambiate in fiele: ovunque il luogo sia là dove voi, sostanze invisibili, attendete l’ora del male. E tu profonda notte vieni, ravvolta nel più tenebroso fumo d'inferno, sì che il mio pugnale acuminato, qual ferita faccia veder non possa nè spiare il cielo oltre il sudario funebre e gridare “Ferma! Ferma! ,, Entra MacsErH. O gran Glamis! O pur degno Cawdor! Di questi assai più grande, in grazia del saluto futuro! Il tuo messaggio tratto.mi ha del presente vile, ed ora altro non sento che il- futuro. MacBETH. O amore caro! Duncano verrà qui stanotte. Lapy MACcBETH. E quando partirà? Citti eZ init 26 MACBETH dele i n ti MACBETH. Dimani, a quanto si è proposto di fare. Lapy MACBETH. Oh il sole mai quel dimani vedrà! La vostra faccia, o thane, è come un libro dove possono leggervi gli umani ben strane cose! Ad ingannare il mondo, adattatevi al mondo. Il benvenuto dentro gli occhi arrecate e dentro il gesto e nel linguaggio. Al par di un innocente fiore abbiate l'aspetto e siate il serpe che v'è nascosto sotto. Provvedere al veniente noi dobbiamo. E il grande fatto che deve compiersi stanotte a me sola confida. Esso dei giorni e delle notti che saranno, solo darci potrà la signoria sovrana! MACBETH. Ne parleremo. Lapy MACBETH. Abbi ben saldo il cuore: rimandare la sorte è aver timore. Ed a me lascia il resto. Exeunt. Atto primo, Scena s:sta 27 SCENA VI. Inverness. D’innanzi al Castello di Macbeth. Musica. I servi di Macbeth fanno ala con le torce. Entrano Duncano, MaLcoLm, DonaLBano, Banco, LEN- nox, Macpurr, Ross, ANGUS e seguito. Duncano. Ben eposto è il Castello e l’aria mite e soave da sè si raccomanda ai nostri sensi placidi. Banco, Il rondone ospite estivo e abitator di templi con l’amor suo per queste mura mostra che l'alito del ciel qui dolcemente odora. Non v'è fregio o gronda od arco rientrante nè oscuro angolo dove questo augello non abbia appeso il suo pendulo nido e la feconda culla. Ho notato che l’aria è pura dove può crescere e abitare. Entra Lapy MacBETH. —_rr———=_<=+_+e —————"—"" er. 28 MACBETH ATO TIR FARA E iconica DuncanO. Ecco che viene la venerata ospite nostra. Spesso l'amor troppo insistente ci procura molti tormenti e pur lo ringraziamo in quanto che è l’amore. Onde v' insegno di dimandare a Dio nelle preghiere di perdonarci per le vostre pene e rendercene grazia. Lapy MACcBETH. Quando i nostri servigi in ogni punto fosser doppî e doppiamente fatti ancora nulli e poveri sarebbero al confronto dell'onore profondo e grande quale a questa casa la Maestà Vostra impartisce. Per quel che di passate e di recenti dignità le deste noi restiam vostri servi. Duncano. E dove è il thane di Cawdor? Lo seguimmo da vicino quasi ad esserne il paggio. Ma cavalca gagliardamente ed il suo grande amore acuto al pari del suo sprone, a questa casa, prima di noi lo spinse. Atto primo, Scena settima 29 Lany MACcBETH. I vostri servi la vita loro e tutto quanto loro appartiene, tengono sì come deposito di cui debbon dar conto a Vostra Altezza per poter poi sempre render quel che le debbono. Duncano. La mano porgetemi e dall’ospite vogliate condurmi. Molto noi lo amiamo e il nostio favor gli serberemo. Col permesso vostro, padrona mia. Exeunt. SCENA VII. Un vestibolo nel Castello di Macbeth. Suoni e torce, Entrano uno dopo l’altro e passano un Maggiordomo e diversi servitori con piatti e vassoi. Poi MACBETH. MACBETH. Se quando fosse fatto, tutto quanto terminasse per sempre, ben sarebbe che fosse fatto subito. Se mai i ———__________——zvz 30 MACBETH ee e])e]eemeeTe l'assassinio potesse ritardare le conseguenze ed, allorchè compiuto, assicurarne l’esito; se questo colpo potesse esser la fine e il tutto qui, ma qui solamente, sulla sabbia instabile di questo mondo, oh allora mi lancerei nella futura vita. Ma in questi casi, la sentenza nostra troviam pur sempre, ed i fatal precetti che insegnano, si volgono a punire chi l’inventava, e con sua man leale la giustizia il miscuglio offre del nostro avvelenato calice alle stesse nostre labbra. ‘Egli è qui sotto una doppia salvaguardia: io gli son, prima, parente e suddito, possenti cose entrambe contro l'agire; e in seguito sì come ospite suo dovrei chiuder la porta agli uccisori e non recare io stesso il coltello. E di più, questo Duncano sì dolcemente usò del suo potere e fu sì degno nel suo grande ufficio che le virtù sue tutte con la tromba degli angeli farebbero sapere l'eterno danno della sua scomparsa; e la compassione come ignudo pargolo in groppa all’uragano o come un cherubo celeste cavalcante i non veduti corridor del cielo ——_——————€—+—€—€<€<+<«—+-_-—-}#ySAOeeeeeee e eee e” Atto primo, Scena settima 3: +e VARO IRSA MA TT oe ine soffrirebbe l’orrendo fatto in ogni sguardo, sì che si annegherebbe il vento nelle lacrime, Ad eccitare i fianchi della mia volontà. solo ho lo sprone d’una cotale ambizion che troppo prende lo slancio e da se stessa cade. Entra Lapy MACBETH. Eccovi ancora. Qual notizie avete? Lapy MacBETH. Egli ha quasi finito di cenare e perchè mai la stanza sua lasciaste? MACBETH. Ha chiesto egli di me? Lapy MACBETH. Non lo sapete? MACBETH, Non andiamo più oltre in questa impresa. Ultimamente mi diè grandi onori e mi son procacciato preziosa rinomanza fra tutti, che mi è d’uopo recare nel fulgor di sua freschezza e non gettarla così presto. Lapy MacBETH. E. dunque vi) era la speme vostra ebra, allorquando it 32 MACBETH la concepiste? O pure essa ha dormito per tutto questo tempo ed or si sveglia a guardare così pallida e smunta quello che lietamente contemplava? D'ora innanzi farò dell’ amor tuo lo stesso conto. Temi d’esser forse in ogni atto del tuo voler lo stesso che sei nel desiderio? Aver vorresti quel che di vita l’ornamento pensi e viver da codardo nella stima di te stesso lasciando che il #0w oso vegli sopra il vorrei qual nel proverbio di quel povero gatto? MACBETH. In grazia, taci! Tutto oserò quanto ad un uom si addice: non lo è più, chi più osa. LaApy MACcBETH. Qual mai bestia vi spinse a dirmi questa impresa? Quando la tentaste eravate un uomo ed ora siatelo più di quel che non lo foste e ancor più lo sarete. Il tempo e il luogo non ve lo consentiano allora e pure li volevate procacciare entrambi. Ora si offron da loro stessi ed ecco che il lor concorso vi atterrisce. I figli Atto primo, Scena settima 33 ho allattato e ben so quanto sia dolce l’amor del bimbo che nutrivo. E pure avrei nel mentre ei mi ridea nel volto dalle molli gengive il seno tratto e sfracellato il suo cervello, quando giurato avessi come voi giuraste di compier questa impresa. MACBETH, E se a mancare ci venisse? i LApy MACBETA. A mancare! Oh attenagliate il valor vostro al giusto luogo e noi non mancheremo. Allor quando Duncano si sarà addormentato (e l'odierno faticoso viaggio facilmente lo inviterà al riposo), i suoi due paggi con vino e con bevande io saprò bene render inerti sì che lor memoria del cervello custode, altro che fumo non sarà, mentre il recipiente stesso di lor ragione diverrà un lambicco! Ed allorchè nel sonno lor suino sì giaceran sommersi e come morti perchè mai non potremo e voi ed io sopra Duncano incustodito agire? Perchè mai non potrem sulle sue genti stese la come spugne, far cadere la colpa di quel gran nostro delitto? Su. Macbeth. 3 eee ee eV 34 MACBETH fini agiiiart fe rr li LIS MACBETH. Genera solo maschi! Poi che deve la tua natura intrepida formare uomini solamente! Non diranno quando col sangue avrem segnato i due paggi dormenti nella stessa stanza e i lor pugnali usati, che fur loro a compiere il delitto? Lapy MACBETH. E chi pensare diversamente potrà osar se i nostri gemiti e i nostri pianti dolorosi su questo morto risuonar faremo? MACBETH. Ecco, ho deciso: ed ogni membro a questo fatto tremendo io tenderò. Via dunque! ed inganniam con lieto aspetto il mondo, chè ha da celare un volto ingannatore tutto quel che conosce un falso cuore. Exeunt. Il ATTO SECONDO. SCENA PRIMA. Inverness. Cortile nel Castello di Macbeth. Entra BANco preceduto da FLEANCE con una torcia. Banco. A che punto è la notte, fanciullo? FLEANCE. Bassa è la luna e non ho udito l'ora. Banco. E tramonta alle dodici. FLEANCE. Per questo credo che sia più tardi, 36 MACBETH _ 66 rr ry.rrr.t_- Banco. Ecco la spada. V'è economia nel cielo e son le sue lampade tutte spente. Ecco anche questa. Un torpor grave sopra me discende simile a un piombo e pur non so dormire. O pietosi numi in me fermate i pensieri nefasti che nel sonno eccita la natura. La mia spada. Chi va là? Entra MacseTH con un Servo che porta una torcia. MACBETH. Un amico. BANCO. Come, o signore, ancora desto? In letto è il Re di già: lieto egli fu siccome non è spesso e gran doni a tutti i vostri ufficiali largì. Un diamante, come alla più gentile ospite, offerse a vostra moglie e si ritrasse pieno d’inesprimibil contentezza. MACBETH. Preso alla sprovvista, il nostro buon volere all’imperfezion fu sottomesso: altro sarebbe stato, senza quella. ì; Atto secondo, Scena prima 37 Banco, Tutto va bene. L’altra notte, in sogno, ho visto le profetiche sorelle. Vi han detto qualche verità. MACBETH. Lasciato ho di pensarci. E pure quando avremo libera un’ora noi potremo dirci qualche parola — se consentirete — intorno a questo affare. Banco. Io sono pronto al piacer vostro. MACBETHA. Se al concetto mio aderirete, allor che si convenga, ne avrete un qualche onore. Banco. Purchè resti intatto il mio, che perder non lo voglio cercando di aumentarlo, e sia pur sempre la coscienza mia libera, e pura la lealtà, mi lascio consigliare. MACBETH. E intanto buona notte. 38 MACBETH Banco. Anche a voi. Grazie. Escono Banco e FLEANCE. MACBETH. e Va’ dalla tua padrona e di’ che quando il mio bere sia pronto ella mi avverta con la campana. E tu va’ a letto. Exit il Servo. 3-4 È questo un pugnale che veggo a me d’innanzi col manico rivolto alla mia mano? Vieni, che possa prenderti! Non sei mio, ma però ti veggo in ogni istante! E non sei tu sensibile anche al tatto, visione fatal, come allo sguardo? o pur non sei della mia mente, vana immagine o pugnal, sorta da un cranio troppo oppresso dal caldo? E pur ti veggo \ in forma sì tangibile che sembri questo che or ora sguaino. La strada mostri ch'io debbo prendere: ed è tale lo strumento ch’io debbo usare. Gli occhi sono dagli altri sensi allucinati o tutti si equivalgono. Ti veggo sempre e sopra la tua lama e sull’elsa stillan gocce di sangue: che poc’ anzi Atto secondo, Scena prima 39 non verano. E nè meno ora vi sono. È questa sanguinosa impresa che arde dentro i miei occhi. Or sopra mezzo il mondo morta sembra natura e tristi sogni tengono il sonno sotto i cortinaggi. I maleficî or celebran le offerte della pallida Ecate ed il bieco assassinio svegliato ora dal lupo sua sentinella il cui grido è l’allarme, con passo lieve al par del seduttore Tarquinio già si avanza e come spettro va verso il suo disegno. E tu sicura solida terra non sentire i passi miei qualunque sia pur la loro via, per tema che non debbano parlare le pietre tue se mi avvicini e il muto orrore abbiano a perdere che tanto si addice loro. E mentre io qui minaccio egli vive. Un lor soffio troppo freddo gettano le parole sopra il fuoco dell’azione. Ecco ora vado: il fato è compiuto. Si ode suonare una campana. M'’invitan le campane. Non udirle, o Duncano: è melodia che nell’inferno o pure in ciel t'invia! Exit. Entra Lapy MacsetH. _urc_rr rr, r__mr———————————m€—— 40 MACBETH i L’''''ttiii[1[ee Lapy MACBETH. Quel ch’essi inebriò rese me ardita; quei che la sete loro estinse, fuoco novello ha messo in me. Silenzio: udite! ululò il gufo, guardian fatale che dà il più cupo avviso. A questo è intento, Le porte sono aperte e i paggi sazii burlan russando il loro ufficio, Io stessa drogato ho il loro beveraggio e morte e natura combattono fra loro per saper se son vivi 0 morti. MACBETH di dentro. Olà! Lapy MACcBETH. Ahi! Temo che sien svegli e che l'impresa non sia compiuta! Il tentativo senza buon successo, ci perde! Ascolta! i loro pugnali avevo preparati ed egli deve averli trovati. Se dormendo tanto a mio padre non rassomigliasse io stessa lo avrei spento. Mio marito! Rientra MacBETH. MACBETH, Tutto è compiuto! Udisti alcun rumore? siae E lia el roi iilccpliztci bi ie Atto secondo, Scena prima 41 ARIE i i lare a Lapy MAcBETH. Udito ho il gufo stridere ed i grilli trillare, Non parlaste ? MACBETH. Quando? Lapv MACBETH. Or ora! ‘ MACBETH. Mentre scendevo ? LaApy MACBETH, Sì. MACBETH Senti.... Chi dorme nella seconda stanza? Lapy MAcBETH. Donalbano. MACBETH. guardandosi le mani. È una vista dolente! Lapy MACBETH. Folle pensiero, dir vista dolente! 42 MACBETH MACBETH. Uno v'è che nel sonno rise ed uno che “Assassinio! , gridò. Stetti in ascolto. Ma pregarono entrambi e nuovamente si misero a dormire. Lanpy MACcBETH. Erano i due che dormivano insieme. MACBETH. Uno ha gridato “Che Iddio ci benedica!, ed “ Amen, l’altro, quasi con queste mani di carnefice mi avesse visto. Udendo il lor timore risponder Amen non potetti quando gridarono “Che Iddio ci benedica! , Lapy MAcBETA. { Non rifletter così profondamente su questi eventi. MACBETH. Ma perchè non posso Amen più dire? Avevo gran bisogno di benedizione e nella gola Amen pur si fermò. Atto secondo, Scena prima 43 Lapy MACcBETH. Non debbon tali imprese, in questo modo giudicarsi, se non si vuol divenir folli. MACBETH. Parvemi una voce sentire che gridasse: “Tu più non dormirai. Macbeth ha ucciso il sonno!, L’innocente sonno, il sonno che scioglie il nodo del dolore, il sonno ch’è giornaliera morte della vita, bagno al dolente faticare, unguento all’anime ferite, di natura secondo cibo ed alimento eccelso al festin della vita. Lapy MAcBETA, Cosa dite? MACBETH. E gridava pur sempre in ogni luogo: “Tu più non dormirai! Glamis ha ucciso il sonno! E Cawdor d’ora in poi non deve dormir più! Macbeth non dee più dormire! , Lapy MAcBETH. Chi ha gridato così? Perchè mio degno thane in tal modo l’arditezza vostra 44 MACBETH dalla base scuotete, giudicando tutte le cose con cervello infermo? Andate a procurarvi acqua e poi questa obbrobriosa traccia, dalle vostre mani lavate. Perchè avete tolto quei pugnali di là? Debbon restarvi. Ritornate a portarveli e imbrattate di sangue i dormienti paggi. MAcBETH. Io più non vi anderò. Temo il pensier pur anche di quel che ho fatto. Rivederlo ancora! To non oso. Lapy MACBETH. Propositi d’ infermo! Date a me quei pugnali. E sonno e morte altro non son che immagini e sol teme occhio infantile il demone dipinto di riguardare. S'egli stilla sangue, dei paggi il volto aspergerò, che sembri loro la colpa. Exit. Si ode bussare di dentro. MACBETH. D'onde viene questo battito? E come è mai che ogni rumore mi atterrisce? Che mani sono queste! Atto secondo, Scena prima 45 Ah che gli occhi mi svellono! E lavare dalla mia man potrà l’oceano tutto del gran Nettuno questo sangue? Oh prima questa mia mano i mari multiformi farà di verdi rossi! Rientra Lapy MacBETH. Lapy MacBETH. Hanno ormai le mie mani egual colore delle vostre: ma sentirei vergogna se avessi un cuore così bianco. Si ode bussare. Ho udito alla porta di giù battere. Andiamo nei nostri appartamenti: un poco d’acqua da questa impresa ci saprà lavare. Come è facile adunque! La costanza vostra vi ha preso alla sprovvista. Si ode bussare di nuovo. Udite: bussano ancora. La notturna veste indossate; può darsi che dobbiamo forse mostrar che non siam stati svegli. E non restate sì miseramente nei pensier vostri assorto. MACBETH. Quel che ho fatto, conoscere! Sarebbe meglio ignorar me stesso. Si ode ancora bussare. 46 MACBETH Oh con quei colpi svegli Duncano! Almeno lo potessi! Exeunt. Entra un Portiere. Si ode sempre il battito dei colpi alla porta. IL PoRTIERE. Questo si chiama bussare! bisognerebbe es- sere portiere dell'Inferno, per aver l’abitudine a girar la chiave. (Continuano a bussare.) Bussa, bussa, bussa. Chi è, in nome di Belzebù? È un fattore che si è impiccato aspettando il buon raccolto ? bisognava esser venuti a tempo. Ora mettete da parte le pezzuole: perchè do- vrete sudare un bel po’. (Continuano a bussare.) Bussal! Bussa! Chi è, in nome dell’altro dia- volo ? In fede mia, deve essere un leguleio che può giurare sopra un piatto della bilancia con- tro l’altro piatto e che dopo aver tradito ab- bastanza in nome d’Iddio, non può prendere equivoci col cielo. Vieni dentro, leguleio! (Conti- nuano a bussare.) Bussa, bussa, bussa! Chi è? In parola è un sarto inglese, venuto qui per aver rubato” sopra un paio di calzoni francesi. Vieni dentro, sarto: qui potrete abbrustolire la vostra schiena. (Bussano.) Bussa bussa! Mai un momento di riposo. Chi è? Ma qui fa troppo freddo per essere l'Inferno. Non voglio esser più il por- tiere del diavolo: ho deciso di non aprire più ud di rr Acmé7{; i Atto secondo, Scena prima 47 IAN OI rriipiitò che a quelli i quali vanno per un cammino fio- rito di margherite, illuminati dai fuochi dell’e- terna gioia, (Bussano.) Eccomi, eccomi; di grazia, non dimenticate il portiere. Apre la porta. Entrano Macpurr e LENNOX. MacpuFF. Sei andato a letto tardi, per restare così a lungo assopito? IL PORTIERE. Ecco, signore: abbiamo bevuto fino al se- condo canto del gallo; e il bere è il grande creatore di tre cose. MACcDUFF. E quali cose può produrre il bere? IL PORTIERE. Queste, signore: naso rosso, sonno e orina. La lascivia la provoca e non la provoca; pro- voca il desiderio ma porta via la potenza. Si può dire che il bere è il causista della lasci- via: la stimola e la scoraggia, la eccita e non la eccita: in conclusione la conduce a un sonno equivoco e poi, con una bugia, l’abbandona. MACDUFF. Credo che il bere ti mentì stanotte. 48 MACBETH FRI Sila an tiezerestetti init IL PORTIERE. Sì signore: una smentita per la gola. Ma mi son vendicato della sua bugia, perchè sono troppo forte per lui, e sebbene qualche volta mi prenda le gambe, pure me la cavo. MACDUFF. È alzato il tuo padrone? Lo svegliò il bussar nostro: ecco che giunge. Rientra MacBETH. LENNOX. Nobil signor, buon giorno. MACBETH. Ed anche a entrambi buon giorno. MACDUFF. E, degno thane, è alzato il Re? MACBETH. Non ancora. MACDUFF. Mi disse di venirlo a trovar presto e quasi ho perso l'ora. MACBETH. A lui vì condurrò. Atto secondo, Scena prima 49 MACDUFF. So che vi è grato questo incomodo e pure è tale. MacBETH. Quella fatica a noi piacevole, guarisce ogni pena. Ecco qua la porta. MACDUFF. Dentro oserò pur di entrare: è il mio dovere che me lo impone. Exit. LENNOX. Anderà via quest'oggi il Re di qui? MACBETH. Sì, così ha detto. LENNOX. È stata tempestosa la notte. Ove dormimmo i cammini ruinarono e ci han detto che si udiron lamenti in aria e strani urli di morte e voci predicenti con parole terribili nefandi roghi e confusi avvenimenti quali Sa. Macbeth. 4 5o MACBETH calamitosi tempi han generati. Si lamentò l'oscuro augello tutta la notte e mi fu detto che la terra era febbricitante ed ha tremato. MACBETH. Fu un'aspra notte. LENNOX. Il mio giovin ricordo simile a questa un’altra non ne trova. ( Rientra Macpurr. MAcDUFF, Orrore, orrore, orrore! non v'è lingua nè cuor che possa concepirti o darti un nome! MacBETH e LENNOX. Cosa c'è? MACDUFF. La confusione ora ha compiuto il suo capolavoro. Un sacrilego crimine ha forzato il consacrato tempio del Signore togliendo all'edificio la sua vita. MACBETH. Cosa dite, la vita? sintcrstimoninizonie premio loto i iii Atto secondo, Scena prima 5I ii el i LENNOX. Parlate di Sua Maestà? Macpure. Entrate nella sua stanza e la vista in una nuova Gorgone spegnete, Non mi fate parlar: voi stessi entrate e parlate voi stessi! Exeunt MacBeTA e LENNOX. Svegli! Svegli tutti quanti! Si suoni la campana d'allarme. Strage e tradimento! Banco, Malcolm e Donalbano, svegli! Questo morbido sonno or su, scuotete! A morte si rassomiglia ed alla morte stessa si avvicina. Su! Su! guardate l’altà immagine del Fato. Malcolm! Banco! Sorgete come dalle vostre tombe e camminate simili a fantasmi per contemplare un tale orrore! Suonano le campane. Rientra Lapy MacBETH. Lapy MAcBETH. Cosa è accaduto? Perchè questa letale tromba chiama i dormenti a parlamento in questa casa? Parla! Parla! 5a MACBETH MACDUFF. O buona signora mia! Pe’l tuo cuor non è adatto quello ch'io posso dire. Ha l'assassinio triste suono se cade in un orecchio di donna! ; Rientra Banco. O Banco, Banco, il regal nostro signore è stato assassinato! Lapy MACcBETH. Ohimè! che orrenda cosa! In casa nostra... Banco. Ovunque troppo atroce sarebbe! Ti scongiuro, mio caro Duff, smentisciti ed afferma che non è vero! Rientrano MacBETH € Lennox. . MACBETH. Oh fossì io morto un’ora innanzi a questa sorte e sarei vissuto un benedetto tempo! Perchè da questo istante, nulla nella vita mortale è certo e un giuoco è tutto quanto. Gloria e gentilezza or sono morte: il vino della vita è versato e la feccia in questa tomba solamente è restata ad imbrattarla! Entrano MaLcoLm © DONALBANO. iii Atto secondo, Scena prima 53 iii li FARO TI inizio DONALBANO. Cosa è accaduto? MACBETH. Voi! Non lo sapete! L'origine, la fonte e lo zampillo del vostro sangue inaridì! La vera sorgente è inaridita! MACDUFF. Il padre vostro regale è ucciso! DONALBANO. Oh ma da chi? LENNOX. Da quelli della sua stanza, a quanto sembra. I volti loro e le loro mani erano intrise tutte quante di sangue ed anche i loro pugnali che, grondanti ancor, trovammo sotto i cuscini: eran stravolti e trepidi: nessuno umana vita avrebbe lor fidato! MACBETH. Oh sì, mi pento ora dell’ira mia che mi spinse ad ucciderli. it ieliicin_——_u_ùun_um_uòìiù—_un 54 MACBETH calchi iii li urpifuic-@m@@ MacDuUrF. E perchè gli uccideste? MACBETH. E chi può essere saggio e violento, furioso e calmo, leale ed impassibile ad un tempo? Nessuno. Del mio amor l’impeto grande ha sorpassato la ragion più lenta. Qui giaceva Duncano, la sua pelle argentina rigata era dal sangue suo d’oro e le profonde piaghe, breccia parean della natura, alla rovina devastatrice aperte. Là i sicari dal color della loro opera intrisi e coi pugnali in una non mai vista guaina di rappreso sangue. Oh quale è colui che ad amare un cuore avendo non troverebbe in quel cor l’ardimento di mostrar l’amor suo? Lapy MAcBETH. Ahimè!... Soccorso!... Conducetemi via! MacDUFF. Prendete cura della signora. _—————————————— tt — e e — »t_-_ mere Atto secondo, Scena prima 55 _—r—_—_ __r——€_ MALCOLM piano a DoNALBANO. E perchè mai tacere, noi che possiamo più d’ogni altro, questa causa fare nostra? DonALBANO piano a MALCcOLM. A che parlare qui, dove il nostro fato, entro il pertugio d’un succhiello celato, può su noi irrompere ed abbatterci? Fuggiamo che le lacrime nostre ancor non sono pronte a sgorgare. MALCOLM piano a DONALBANO. Nè l'immenso nostro dolore a far qualcosa. Banco, Olà, prendete cura della signora. : Lapy MacseTH è portata via. E quando avremo rivestiti i nostri corpi ignudi, che esposti all’aria aperta soffrono, riuniamoci e cerchiamo di conoscere meglio il sanguinoso avvenimento. Scrupoli e timori iii iii 56 MACBETH iii iii ci tengon tutti. Io nell’ immensa mano d’Iddio mi pongo e di là su combatto contro le ignote cause di questo delittuoso tradimento. MACDUFF. Anch'io! TUTTI. Tutti! MACBETH. Vestiamo degne veste e nella aula del concilio andiamo. TUTTI. È detto! Escono tutti, meno Do- naLBano e Marcorm. MALCOLM, Cosa volete fare? Insiem con loro non ci associamo, Dimostrar tristezza non sentita è unasimpresa che può fare un uomo falso facilmente. Andrò in Inghilterra. DONALBANO. Ed io in Irlanda, I nostri separati destini ci terranno più sicuri ambedue. Dove noi siamo dr rr. rr ._rt(@1@(cmttiicl’e@’0-m009 0. 136 MACBETH fem ieriren ritto e EE ORROA IL Mepico. Gran turbamento della natura, ricevere al tempo stesso i beneficî del sonno e agire come se fosse sveglia! In queste dormiveglie agitate, oltre al camminare e le varie azioni che cosa le avete udito dire? LA Dama, Cose, o signore, che non ripeterò dopo di lei. IL Mepico, Lo potete dire a me: non vi è nessun incon- \ veniente. La Dama. Nè a voi, nè a nessun altro, visto che non ci son testimoni per confermare il mio racconto. Guardate: ecco che viene. Entra Lapy MAcsETH con una lampada, È come ve l'ho descritta e — sulla mia vital — profondamente addormentata. Osservatela: fatevi più accosto. IL Mepico. Dove ha trovato quella lampada? LA DAMA. L'aveva accanto a lei: una lampada le arde continuamente accanto. È per ordine suo. Atto quinto, Scena prima 134 sii dl iL ANI IL Mepico. Vedete: ha gli occhi aperti. LA Dama. Sì: ma sono chiusi al senso. IL Mepico. Cosa fa, ora? Guardate come si stropiccia le mani. LA Dama, È un atto che le è usuale, questo di far finta di lavarsi le mani. L’ho veduta far così per un quarto d’ora di seguito. Lapy MAcBETH. C'è sempre una macchia! IL Mepico. Ascoltate! Parla: voglio notare quello che verrà fuori per rammentarlo più fortemente! Lapy MAcBETH. Via, macchia maledetta, via ti dico! Uno, due.... Allora è tempo di compiere l’impresa.... L'inferno è cupo! Vergogna, sire, vergogna! Soldato e pauroso ? Che importa aver paura che si sappia, quando nessuno potrà dimandarne conto al nostro potere? E pure, chi avrebbe pensato che il vecchio avesse in sè tanto sangue ® siii li ille) 138 MACBETH thiene Ea IERI A IL Mepico. Avete osservato? Lapy MacBrTH. Il thane di Fife aveva una moglie: dove è an- data? Cosa? Queste mani non saranno dunque mai pulite? Basta, signore mie, basta: voi sciu- pate ogni cosa con questo tremito! IL Mepico. Avanti, avanti! Voi sapete quello che non avreste dovuto sapere. La Dama. Ha parlato più di quel che non avrebbe do- vuto: ne son sicura. Sa il cielo, quello che «ella ha visto! Lapy MacBETH. E sempre l’odore del sangue... Tutti i pro- fumi dell’Arabia non addolciranno questa piccola mano. Oh! oh! oh! IL Mepico. Che sospiro! Il cuore è gonfio di rammarico. LA Dama, sl Non vorrei avere un cuore simile nel mio “petto, per la dignità di tutto quanto il corpo. } critic rile da «Atto quinto, Scena prima 139 odi ii azi ls Ir Mepico. Bene, bene, bene. LA Dama. Pregate Iddio che sia così, signore. IL Mepico. Questa infermità è oltre la mia scienza: e pure ho conosciuto molti che camminavano dor- | merido e sono morti santamente nei loro letti. Lapny MacBseTH. Lavatevi le mani, mettete la vostra veste da camera, non siate così pallido. Ve lo ripeto ancora: Banco è sepolto; non può venir fuori dalla sua tomba. IL Mepico. Proprio così? Lapy MacgeTH. A letto! a letto! Bussano alla porta. Venite, venite, venite, venite. Datemi la mano. Quello che è fatto non si può disfare. A letto, A letto, A letto, Exit. IL Mepico. E ora tornerà a letto? La Dama. Direttamente. 140 MACBETH IL Mepico. Atroci cose furon bisbigliate: innaturali fatti, innaturali turbamenti producono. Le inferme coscienze confidano i segreti loro ai sordi origlieri. Ella più ha d’uopo di prete che di medico. Dio! Dio! perdonateci tutti. Abbiate cura di lei. Togliete tutto quanto possa ferirla. Buona notte. Tramortito ella ha il mio spirto e il mio sguardo smarrito. Penso e parlar non oso. LA DAMA. Buona notte, ® buon dottore. Exeunt. SCENA II. Campagna nelle vicinanze di Dunsinane. Entrano MeNnTETH, CarrHnEss, AnGus, LENNOX e soldati con musiche e bandiere. MENTETH. Gli Inglesi già son prossimi, condotti da Malcolm, da suo zio Siward, dal bravo Macduff ed arde la vendetta in loro. Atto quinto, Scena seconda I4I Per una tale impresa un eremita anche, all'assalto sanguinoso e triste si lancerebbe. ANGUS. Presso la foresta di Birnam noi gli incontreremo. Tale è la via per cui vengono. CAITHNESS. Chi sa se Donalbano è col fratello? LENNOX. Certo, signore, che non v'è. Dei gentiluomini tutti ho la nota: di Siward v'è il figlio e molti imberbi giovani che fanno oggi di lor virilità le prime prove. MENTETH. E il tiranno cosa fa? CAITHNESS. La grande Dunsinane munisce. Alcuni han detto ch'egli è pazzo; mentre altri che pur meno l’odiano, chiaman quella sua follia impeto valoroso. È però certo ch'egli non può la disperata sua iii dii i iii libici Ligier) di 142 MACBETH etnie rr cuiullo ils oppio ta causa affibbiare dentro il cinturone dell'ordine. ANGUS, Egli sente ora i segreti assassinii alle sue mani invescarsi. Ad ogni istante la sua rotta fede gli gettan contro le rivolte. Quelli ch’ ei comanda obbediscono soltanto al suo comando e non a un sentimento d’affetto. E intorno gli ricade, fatta larga la sua grandezza, al par di veste di un gigante che un nano abbia rubato. MENTETH. E chi biasimerebbe i suoi percossi sensi, di ribellarsi allor che tutto quello che è in lui rimprovera a se stesso di starvi? i CAITHNESS. Or su, mettiamoci in cammino per arrecar l'obbedienza nostra a quel cui la dobbiamo. Andiamo incontro al curator dell’uman bene infermo e insiem con lui versiam tutte le stille del sangue nostro onde purgar Ja patria” o quanto basta a far crescer Pantica pianta regale e ad aftogar l’ortica. i Exeunt, Send ae Ra ee Atto quinto, Scena terza 143 di RAR rit ini aa SCENA II. Dunsinane. Una stanza nel Castello. Entrano MAcBETH, un MEDICO e SERVI. MacgETH. ‘ Non più rapporti: che si fuggan tutti: fin che il bosco di Birnam non si muova a Dunsinane io non potrò sbiancare per la paura. Malcolm, il fanciullo, che cosa è mai? Non nacque egli da donna? Gli spiriti che sanno ogni mortale destino, mi hanno detto: “ Non temere, Macbeth, chiunque sia di donna nato non avrà mai su te potere ,. Or dunque fuggite o falsi thani! Agli Epicuri d’Inghilterra mischiatevi! La mente che mi conduce, e quel che ho in me di cuore non tremeran per dubbio o per timore. Entra un Servo. Ti maledica il diavolo, o tu faccia di latte! Dove hai preso quell’ aspetto d’oca? IL Servo. Son più di diecimila! T44 MACBETH MACBETH. D’oche, marrano ? IL Servo. Sire, di soldati. MacsetH. Pungi a sangue la tua faccia e la paura col belletto arrossisci, o tu fanciullo senza fegato! Or su, straccio: soldati di che sorta? Le tue sbiancanti guance son — per l’anima mia — le consigliere della paura! Di che sorta sono mai quei soldati, faccia di giuncata? LL Servo. Inglesi, se vi piace. MacgeTH. Via di qua la tua faccia! Exit il Servo. Seyton! — Sento sollevarsi lo stomaco se veggo.... Seyton, ho detto! — Mi dovrà per sempre innalzar questa spinta o pur gettarmi a terra in questo istante. Ormai vissuto ho abbastanza: la mia vita è travolta tra le pallide foglie inaridite, Atto quinto, Scena terza 145 ed io non posso più sperare in quello ch’ è consueta compagnia negli anni ultimi: qual l'obbedienza, i molti amici e il rispettoso amore. Invece m’inseguiran le maledizioni a bassa voce, ma profonde ed ogni lusinga a fior di labbra, che i dolenti cuori rinnegherebbero e non osano! Seyton! Entra SeyTon. SEYTON. . Che vuole Vostra Grazia? MACBETH. Quali notizie ? SEYTON. Tutto, sire, è confermato quel che fu detto. MACBETH. Ed io combatterò finchè dall’ ossa mie non sia strappata tutta la carne a brano a brano. Dammi armatura. SEYTON. Non ve n'è ancor bisogno. MACBETH. Io la voglio indossare. Poi nuovi cavalieri lancerete Su. Macbeth. 10 ri ri lla i 146 MACBETH e a spazzar la campagna intorno intorno. Impiccate chi parla di timore. — Datemi l'armatura. — E la malata vostra, dottore, come sta? IL Meprco. Non tanto è inferma, o signor mio, quanto è turbata dalle immagini vane che il riposo allontanan da lei, MacBETA. Devi guarirla di questo. Non sai dunque alcun rimedio per una mente inferma? Non sai trarre dal pensiero una bene abbarbicata tristezza? E le inquetudini estirpare dal cervello e con qualche oblivioso dolce antidoto far libero il seno gonfio da perigliosi eccitamenti che pesano sul cuore? IL Mrpico. È in questo caso che l’infermo da sè deve curarsi. MAcBETH. Getta ai can la scienza: io non ne voglio. — Venite a pormi l'armatura e datemi il baston del comando. — Una sortita, cirprieninecnigirpirpa MMI i uli LIO pp triiee Atto quinto, Scena terza 147 ref _‘T(}1{€+—— — —+ iii Seyton, tentate. — Da me fuggon tutti i thani, ormai, dottore. — Su via, presto. — Ah dottore, se mai l’acque potessi del mio paese esaminare e il suo mal ritrovare onde purgarlo tanto che l’antica salute ritrovasse, il mio elogio di te confiderei ad ogni eco perchè novellamente lo ripetesse. — Estirpalo, ti dico! Qual rabarbaro, qual sena, qual droga purgativa di qua potrebbe fare i evacuar gl’ Inglesi? Udisti mai parlar di loro? IL Mepico. Sì, mio buon signore: qualche notizia ce ne han dato i vostri preparativi. MACcBETH. Mi portate questa. Morte e esilio per me son cose vane finchè Birnam non venga a Dunsinane. Exeunt tutti meno il Mepico. IL Mepico. Se fossi via da Dunsinane, niente mi ci ricondurrebbe nuovamente. î xit, e eee eee e em TT —__———————m 148 MACBETH ee 22.2] SCENA IV. Una campagna presso Dunsinane. Un bosco in vista. Entra con musiche e bandiere MALcOLM seguito dal vecchio SIWARD e dal figlio di questi, da MACDUFF, MentETH, Carraness, Ancus, Lennox, Ross e soldati in ordine di marcia. MaLcoLm, Cugini, io spero non lontano il giorno che sarem salvi nelle case nostre. MENTETH. Noi non lo dubitiamo. SrwaRp. E quale selva è quella innanzi a noi? MENTETH. Quella è la selva di Birnam. Srwarp. Tagli, ogni soldato, un ramo e innanzi a sè lo porti: in questo modo ii AL Atto quinto, Scena quarta 149 —— "——_—___—»———_—_—& getterem l’ombra sulle nostre schiere e indurremo in error gl’informatori nemici. SOLDATI. Sarà fatto. Srwarp. Tutto quello che noi sappiamo è che il tiranno ancora sta fiducioso in Dunsinane e attende che noi ve lo assediamo. È MaLcoLtm. È la suprema sua speranza. Perchè dovunque s’offra l'occasione ognun gli si ribella: i grandi come i piccoli, e nessuno lo serve più senza esservi costretto e contro voglia. MACDUFF. Aspetti la censura nostra il fatale evento. Ora dobbiamo l’arte nostra guerresca esercitare con ogni industria. SIrwarp. Il tempo si avvicina in cui saremo al fine fatti certi di tutti quanti i nostri conti aperti, ini ili ii IL, 150 MACBETH Sinnai dl I] ENTI Vana speranza un pio pensier produce, ma solo il colpo alla vittoria adduce, Avanziamo alla guerra. Exeunt in ordine di marcia. SCENA V. Dunsinane. Nel Castello. Entra con musiche e bandiere MACBETH seguito da SEYTON e da soldati. MACBETA. Sopra gli spalti alzate le bandiere e la parola d’ordine sia sempre: Vengono! Del castel nostro la forza di un assedio può ridersi. Lasciateli stesi ove son finchè la fame e il morbo non li abbian divorati. Se da quelli ch’ esser dovean con noi non fosser stati resi più forti, arditamente incontro noi potremmo andar loro e a barba a barba ricacciarli di qua. Si ode un grido di donna. Che cosa è questo strepito ? Atto quinto, Scena quinta ISI SEYTON. Grida son di donne, o mio buon signore, MACBETH. Obliato ho quasi il gusto della paura! Vi fu un tempo quando il più lieve rumore della notte avrebbe i miei sensi agghiacciato e tutti i miei capelli a un funebre racconto si sarebber drizzati ed agitati quasi fossero vivi. Io di terrori mi son nutrito ed ora lo spavento agli omicidi miei pensieri amico più non può farmi trasalire. Rientra Serrox. Cosa erano quelle grida? SEYTON. La Regina, o mio signore, è morta. MACBETH. Dovea morir più tardi! V’ è sempre tempo a dir tale parola. E dimani, dimani e poi dimani scendon di giorno in giorno a misurati passi verso la sillaba suprema 152 MACBETH registrata dal tempo. E tutti i nostri ieri han soltanto rischiarato i folli sopra la via della terrosa morte. Spegniti dunque, o breve fiamma! Errante ombra è la vita. È miserando attore chi tutta l’ora sua si pavoneggia sopra la scena e si agita e che poi più non si ode; è la storia di uno scemo tutta d’impeto piena e di rumore e che non ha significato. Entra un Messo. Vieni a usar la lingua: il tuo racconto; presto. Ir Messo. Grazioso signore, Vorrei narrarvi quel che ho visto, e pure io non so come farlo. : MacgeTH. E bene, dite. IL Messo. Ero di guardia sopra il colle, quando guardando verso Birnam m’è sembrato che si mettesse in movimento il bosco. MacBETH. Schiavo bugiardo! Atto quinto, Scena quinta 153 IL Messo. Ch’io sopporti il vostro corruccio se non è vero! A tre miglia di qua potete scorgerlo voi stesso che arriva. Ho detto: è il bosco che si muove. MacBETH. Se il tuo racconto è falso, al più vicino albero, ti farò vivo impiccare finchè la fame non ti renda tutto rattrappito, e se è vero, non m'importa che tu me lo ripeta. Ecco la mia decision ritratto e già comincio a dubitar del Demone l'inganno, che mente anche se vero. “ Non temere finchè il bosco di Birnam non si muova a Dunsinane. , Ed ecco ora che il bosco vien verso Dunsinane. All’armi! Allarmi! E facciam la sortita! Se è pur vero quel ch'egli dice non ci resta scampo a fuggire di qua nè a qua restare, Già son stanco del sole e vorrei che il governo alto del mondo rovinasse. Si suoni la campana; vengan rovine e venti scatenati: se dovremo morir, morremo armati. Exeunt. 154 MACBETH SCENA VI. Dunsinane. Una pianura d’innanzi al Castello. Entrano, con tamburi e bandiere, MALCOLM, il vecchio SrwARD, MACDUFF, ecc., e leloro genti con rami d'albero. MALCOLM, Siam vicini abbastanza. Ora gettate i ripari di foglie e in vostro aspetto mostratevi. Voi, zio, con mio cugino vostro degno figliuol comanderete il nostro primo scontro. Il valoroso Macduff e noi, quel che riman da fare accetterem secondo il nostro piano. SrwARD. Addio! Per poco che incontriam stanotte del tiranno le schiere, esser battuto voglio se non combatteremo. MaAcDUF. Fate suonar le trombe e date fiato forte a questi banditor di sangue e morte! Exeunt. (37) Atto quinto, Scena settima 15 SCENA VII. Dunsinane. Un'altra parte della pianura. Suoni di trombe, Entra MACBETH. MacBETH. Mi hanno legato al palo ed or non posso fuggire più; ma al par di un orso in campo combatterò. Dov'è quei che da donna non è nato? Colui debbo temere o nessuno. Entra il giovine Srwarp. IL GIovinE StwaRD. Qual è il tuo nome? MACBETH. Udendolo ne sareste atterrito. IL Giovine SiwARD. No: quand’ anche tu ti chiamassi col più ardente nome che nell'inferno sia. MACBETH. Macbeth mi chiamo. «rr, one 156 MACBETH sellasaiia a igi AEfd Ai sn I dei SII RI I I | Ir crovine Srwarp. Il demone in persona non potrebbe un nome pronunciar che risuonasse più odioso all’ orecchio mio. MACBETH. Nè più terribile! IL cIoviNE StwarD. Mentisci, o disprezzato tiranno! E voglio con la spada in pugno questa menzogna far certa! Combattono e il gio- vine Srwarp è ucciso. MacBETH. Tu eri nato da donna!... Ma sorrido ai colpi: e beffeggio ogni ferro che impugnato sia da colui che da una donna è nato. Exit. Suoni di trombe, Entra Macourr. MACDUFF. Il rumore è da questa parte. Mostra il tuo volto, o tiranno. Se da un colpo di mia man non sarai spento, gli spettri di mia moglie e dei miei figli, me sempre inseguiranno. Io non vo’ più colpire Atto quinto, Scena settima 157 i Kerni miserabili il cui braccio per portare il bastone è sol lodato. Te Macbeth voglio o pur l’inerte spada rimetterò nel fodero pur senza riprovarne la lama. Esser tu devi da questa parte: una gran lotta sembra indicar quel rumor di ferri. Oh lascia ch'io lo trovi, o fortuna, e più non voglio! Exit, Suoni di trombe. Entra- no MacrcoLa e Srwarp. SrwARD. Per di qua, signor mio. S'è reso senza resistenza il castello e in ambo i lati combattono le genti del tiranno. I bravi thani fanno arditamente le loro prove; il'giorno in favor vostro sembra piegarsi e poco v'è da fare. MaLcoLm. C’incontrammo in nemici che han pugnato ai nostri fianchi. Srwarp. Entriam dentro il castello. Exeunt. e /_—___ iui 158 MACBETH e SCENA VIII. Dunsinane, Un'altra parte della pianura. Entra MACcBETH. MACBETH. Perchè farei come il romano stolto sul mio ferro uccidendomi? Fin tanto ch'io veda uomini vivi, sui lor volti meglio staranno i tagli. Entra Macpurr. MacDpure. Oh dell’ inferno mostro! Volgiti, volgiti! MACBETH. Di tutti gli uomini, solo ho te evitato. Va: troppo l'animo mio gronda pe’l sangue de’ tuoi. MACDUFF. Non ho più la parola: è tutta nella spada la mia voce. Oh malnato più sanguinoso che non possa dire ogni umano lin io! - BuAgE Combattono. Atto quinto, Scena ottava 159 MACBETH. Ora tu getti le tue fatiche e l’impalpabil aria più facilmente con l’acuta spada tu puoi ferir che farmi sanguinare. Che il ferro tuo cada sopra cimieri vulnerabili: io reco un incantato poter di vita, che non può cadere d’innanzi a chi da donna è nato. MACDUFF, Lascia questa speranza, e l'angelo cui sempre fosti divoto, ti dirà come io venni tratto dall’ utero materno prima del tempo. MACBETH. Oh sempre maledetta la lingua che così mi parla. Abbatte essa in me quanto v'è d'uomo. Ai malvagi démoni or più non date ascolto: sulle parole ambigue giuocano e le loro promesse tengon per i nostri orecchi mentre le infrangon per la nostra speme. Non pugnerò con te. MACDUFF. Dunque o codardo arrenditi! E per essere la mostra 160 MACBETH e il ludibrio del secolo, vivrai. Ti faremo dipinger come un raro mostro ed appeso a un palo scriveremo sotto il dipinto: “ Qui si può vedere il tiranno ,. MACBETH. Ed io non mi arrenderò per baciare la terra innanzi ai piedi del giovin Malcolm, e agli insulti esposto esser della canaglia. Ma se bene in contro a Dunsinane sia venuta la foresta di Birnam, ed a quanto affermi tu, non sei da donna nato, l’ultima prova vo’ tentare e porre sul mio corpo lo scudo mio guerresco. Or tu, Macduft, colpiscimi con l'asta: e maledetto sia chi grida Basta/ Escono combattendo. Ritirata. Suoni. Entrano con tam- buri e bandiere MaLcocw, il vec- chio SrwArp, Ross, Lennox, CAITH- ness, MenteTta, ANGUS e soldati. MaLcoLm. Vorrei che qui fossero salvi tutti gli amici che perdemmo. Srwarp. È una fatale sorte, perderne alcuni. E pur da quelli Atto quinto, Scena ottava r6r che vediamo può dirsi che sì grande giorno, fu a buon mercato. MaLcoLm, Noi perdemmo Macduff e il vostro nobil figlio. Ross. Il vostro figlio, o signore mio, pagato ha il debito di buon soldato. Ei visse fino a tanto che fu un uomo ed appena il suo valore egli ebbe confermato, in quello stesso luogo ove combattè, morì: ma come un uomo. Siwarp. È dunque morto? Ross. . E morto: portato via fu già dal campo e il vostro dolor non deve misurarsi al suo valor che non avrebbe fine. Siwarp. Aveva avuto, già, qualche ferita? Ross. . In volto. Su. Macbeth, ll ì f % r6a MACBETH _—________x—_—_—______—_—_—_—_——__€É& ì : ‘> SIWARD, "UU E sia d’Iddio soldato! Avessi tanti figliuoli quanti ho pur capelli lin capo, non vorrei loro pna più bella morte. E sia questo il suo elogio. . MALCOLM.; : Di un più grande rimpianto è degno ed avrà il mio, Srwarp. i Rimpianto maggiore non si merita. Fu detto, ch’ei partì bene e che ha pagato il conto. Dio sia con lui! Ecco un conforto nuovo. ‘Rientra MacmUFF, con la testa di. MacsETA sopra un'asta. Macpurr., Salute‘o Re, già che lo seil Contempla dove sta infissa dell’ usurpatore , la maledetta testa. Il secol nostro libero è al fine! Quelli che d*intorno , ti veggo, perle della tua corona, entro di sè ripetono il saluto mio, che vorrei gridasser forte; Evviva il Re di Scozia! , TuTTI. Evviva il Re di Scozia! Musiche. «Atto quinto, Scena ottava 163 MatcoLm, Non passerà gran tempo pria che noi compenseremo la fedeltà vostra venendovi a trovar. Thani, parenti miei tutti, siate d’ora innanzi conti, ìi primi che la Scozia abbia onorato con questo nome. Quel che poi dobbiamo fare al più presto è richiamare i nostri amici dall'esilio, ove han fuggito di sospettosa tirannia gl’inganni; e i crudeli ministri dell’ ucciso macellatore, denunciare insieme con quella sua diabolica regina che si uccise da sè, per quanto è detto. Ma questo in grazia del Signor supremo di fare a tempo e luogo proveremo. Or grazie, e per l'incoronazione ncestra, noi tutti vi invitiamo a Scone. Musiche. Exeunt. FINE, NOTE. 11* NOTE DEL TRADUTTORE AL MACBETH di SHAKESPEARE. Arro Primo, Scena II. — A pag. 6. San Colmes. Colmes Inch, ora chiamata Inch- comb, è una piccola isola nel Zir#f di Edimburgo, con una abbazia eretta nel centro di essa e de- dicata a San Colombo. Nella Croraca dell'Holin- shed il fatto è così raccontato: «I Danesi che erano sfuggiti alla strage e avevano raggiunto le loro navi ottennero da Macbeth, per una gran somma di denaro, che molti dei loro amici uccisi nella battaglia potessero essere sepolti a Saint Colmes Inch, dove ancora si veggono molte delle loro tombe con sopra incise le armi danesi. » /77c4, in lingua irlandese, significa isola. Scena III. — A pag. 7. Io dentro un guscio navigherò, ecc. Reginaldo Scott nella sua opera intitolata Dis- covery of Witchcraft, opera stampata a Londra nel 1584, racconta come fosse credenza comune che le streghe potessero navigare in un guscio d'uovo o in una conchiglia di chiocciola. Lo stesso si tiri tI 168 NOTE trova nell’A/bovize di Sir W. id'Avenant (1622), lo stesso nella Damzable life of doctor Fan a not- able Sorcerer, pubblicata in Edimburgo nel 1591. In quanto poi al Sorcio scodato, si rammenti che le streghe potevano tramutarsi in ogni forma di animale che volevano, ma sempre senza la coda, Scena II. — A pag. 12. abbiam gustato la radice insana, ecc. I comentatori inglesi ci fanno sapere che que- sta radice è quella della cicuta (femlock), deri- vando questa credenza da un passo del Never foo late di Greene — che è del 1616 — e da un altro del Sejazzo di Ben Jonson. Ma più probabilmente lo Shakespeare non volle designare questa radice con un nome particolare e ne trasse l’immagine da un passo di Plutarco, nella Vita di Marco An- fonio che egli aveva lungamente studiata, passo nel quale lo storico greco racconta come i soldati romani, durante la guerra partica, avendo man- giato alcune radici di varie sorte, da alcune fu- rono uccisi e da altre vennero in una specie di furore molto simile alla pazzia. Ma di queste ra- dici non si ha il nome, nell’opera del Plutarco. Scena VII. — A pag. 82. qual nel proverbio di quel povero gatto... Il proverbio citato è l’antico adagio latino: Ca- tus amat pisces, sed non vult tingere plantas, adagio che suonava in inglese: 7Xe caf /oves fishes, but dares not wet her feet. imiillizio———@@——@——1_É6@_—@_@—@—@t1t127[1@t@ ue’ NOTE 169 LO OLI ll _ ___—@@etosser Arro Seconpo. Scena Il. — A pag. 60. Colmes Kill. Luogo di sepoltura dei Re di Scozia. Arro Terzo. Scena V. — A pag. 82. .. il pozzo Acheronte. Lo Stevens osserva che Shakespeare si credeva in diritto di dare il nome d’Acheronte ad ogni fiume, fontana o pozzo che tomunicasse con le regioni infernali. A pag. 98. .. Canti dal di dentro: , Venite via, venite via! Questo canto si ritrova per intiero in un dramma dell’epoca intitolato ze Witch (la Strega) e com- posto da Tommaso Middleton. Arto Quarto. Scena I. — A pag. 97. In tutta questa scena dell’Incantesimo, Guglielmo Shakespeare si è strettamente attenuto alle tradi- zioni dell’epoca. Le virtù dei varii ingredienti messi a bollire nel caldaio infernale, si possono trovare nel De Mirabilibus Mundi di Alberto Magno. M gatto selvatico è da tempo immemorabile il com- pagno delle streghe nei loro Sabba; il riccio © porco-spino aveva il potere di avvelenare le mam- melle delle vacche succhiandole nelle stalle, di notte. Così il rospo e tutti gli altri animali men- zionati nell'Incantesimo. Vedi anche a questo pro- - HZ ’E &--i( a ee 170 NOTE . ei LION RT posito la già citata Discovery of Witcheraft di Reginald Scott. A pag. 100, Dei miei pollici al prudore:... Antica superstizione che si ritrova anche nel Miles gloriosus di Plauto: 7imeo quod rérum gesserim hic ita dèrsus fota prurit. A pag. 105, ‘Appariscono otto Re..!. l’ulti- mo ha unò specchio in mano. Nell’Exfract of penal laws against Witches è detto: “ Esse rispondono fissando i loro occhi în uno specchio, in un diamante, o in immagini di personé o di cose alle quali stanno pensando. " Scenà TH, — A pag. 116, Per tutto questo eolloquio fra Malcolm e Mac- duff, vedi la traduzione del 7%re moble Clerk di Ettore Boezio, fatta da John Bellenden e pubbli- cata a Edimburgo nel 1541, opera da cui G. Shake- speare ha quasi letteralmente tratto la sua scena. A pag. 195. ne È detto ?) male regio, ll potére di curaré certe malattie era ereditario ‘in alcunè famiglie regnanti per diritto divino. Il dottor Borde, che scrisse sotto Enrico VIII, dice: «I Re d'Inghilterra hanno per potere d'Iddio il dono di guarire coloro che sono affetti dal mal del Re.» E nel suo racconto sulle feste di Kenil- worth, Lanchams scrive: «E Sua Altezza la Re- NOTE 171 gina Elisabetta curò nove individui colpiti dal do- loroso e pericoloso male del Re, già che i re e le regine di questo regno, senza altra medicina che le loro preghiere e il loro contatto, possono com- piere questa guarigione.» La pratica di tale su- perstizione andò fino ai tempi della regina Anna, e nella prima metà del secolo XVIII il dottor Johnson fu così curato da quella sovrana quando egli era ancor fanciullo. Arto Quinto, Scena IH. — A pag. 141, La foresta di Birnam e il Castello di Dunsi- nane. Birnam Hill è a circa un miglio da Drun- keld. È un’alta montagna su cui si veggono an- cora le traccie di un forte diroccato, detto {iz can’s Tower. Sì fanno ancora vedere due querci centenarie che sarebbero gli ultimi avanzi della foresta di Macbeth. ‘Scena VIII. — A pag. 168. « siate d'ora innanzi conti î primi che la Scozia, ecc. Vedi nella Storia di Scozia dell'Holinshed il se- guente passaggio: “ Malcolm, subito dopo la sua incoronazione, radunò il parlamento a Farfair, nel quale distribuì in premio varie terre ai suoi fedeli che lo avevano assistito contro Macbeth. Molti di loro che erano per lo innanzi fran? furono fatti conti (ear/s) e, fra questi Fife, Menteth, Atholl, Lennox, Murrey, Caithness, Ross ed Angus.” 12F}Z A Eleonora Duse offre divotamente il traduttore.